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"uno spazio di pensiero collettivo, dove partecipare alla co-creazione di un paradigma alternativo attraverso ricerca, scelta e condivisione."
La Trasformazione della Cittadinanza nell’Era Digitale

La Trasformazione della Cittadinanza nell’Era Digitale

Giovedì, Ottobre 9, 2025

Verso una Nuova Ecologia delle Interazioni

“Non siamo soli nel volere un mondo diverso. Ma crediamo di esserlo.” 
— Stefano Bartolini, Università di Siena

Introduzione

L’era digitale sta ridefinendo profondamente il concetto di cittadinanza, non solo come status giuridico, ma come pratica di partecipazione, appartenenza e responsabilità condivisa. Le tecnologie digitali non si limitano a strumentalizzare la comunicazione: stanno trasformando le stesse condizioni della vita sociale, politica ed ecologica.

In questo contesto, emerge una nuova ecologia delle interazioni, in cui la distinzione tra umano e non umano, natura e tecnologia, individuo e sistema, si fa sempre più sfumata. La cittadinanza non è più esclusivamente un rapporto tra individui e istituzioni statali, ma si estende a una rete complessa di entità — algoritmi, dati, dispositivi, ambienti — che partecipano, in modi diversi, alla costruzione della realtà sociale.

Questo articolo intende esplorare questa trasformazione, non per proporre soluzioni definitive, ma per aprire uno spazio di riflessione condivisa su ciò che significa essere cittadini oggi.

1. La crisi dell’umanesimo e la fine della democrazia rappresentativa

La democrazia occidentale si è fondata su un’idea specifica di società: un insieme di individui umani, liberi e uguali, che partecipano alla vita pubblica attraverso la delega politica. In questo modello, l’azione politica è concepita come il luogo del conflitto, della contrattazione e della decisione tra soggetti umani.

Tuttavia, questa visione sta mostrando i suoi limiti. Oggi, sappiamo che la società non è composta solo da esseri umani.

Algoritmi, database, sensori, piattaforme digitali, intelligenze artificiali: tutte queste entità non umane sono attive, operative, decisive nel funzionamento delle nostre istituzioni, dei mercati, dei servizi pubblici. Non sono semplici strumenti. Sono parti costitutive dei processi decisionali.

Questa presenza attiva di entità tecniche e informatiche pone una domanda cruciale: dove finisce l’azione umana e inizia quella del sistema? E, di conseguenza: chi partecipa davvero alla vita politica?

La cittadinanza digitale non è un semplice aggiornamento tecnologico della cittadinanza tradizionale. È un cambiamento di paradigma, che ci costringe a ripensare il ruolo dell’umano nella governance.

🔹 Integrazione – Dati economici (Fubini, Corriere della Sera, 2025)
Questo intreccio tra crisi politica ed economica è evidente in Italia. Dal minimo del 2020 al 2024, il PIL è cresciuto del 16,6%, superando la media dell’area euro. Eppure, il potere d’acquisto dei salari reali è crollato del 5,8% (BCE), con stime OCSE che parlano di un calo del 7,5%. I frutti della crescita non sono andati ai 16,5 milioni di lavoratori dipendenti, ma si sono concentrati in settori specifici: banche quotate, società a controllo pubblico, grandi manager. Secondo Mediobanca (2024), il margine operativo delle società a controllo pubblico è passato dal 4,5% del 2022 al 9,5% del 2024, mentre i loro dipendenti hanno perso quasi il 9% del potere d’acquisto. Questa redistribuzione silenziosa del valore, dal lavoro al capitale, non è un dettaglio tecnico. È un fatto politico, che alimenta un senso di esclusione e di impotenza collettiva. Come osserva Federico Fubini nel suo articolo per Corriere della Sera (leggi qui), molti italiani si sentono “vittime dell’economia del Paese”, e questa frustrazione diventa terreno fertile per la protesta sociale.

2. Dai parlamenti alle piattaforme: la governance come processo relazionale

Le istituzioni rappresentative — parlamenti, consigli, assemblee — restano fondamentali. Ma non sono più gli unici luoghi della decisione politica.

Le piattaforme digitali stanno assumendo un ruolo crescente nella definizione delle agende pubbliche, nella raccolta delle opinioni, nella formulazione delle proposte. In diversi contesti internazionali, si stanno sperimentando modelli innovativi di democrazia partecipativa digitale, in cui la tecnologia non sostituisce la politica, ma ne amplifica la portata e l’inclusività.

Tuttavia, queste piattaforme non sono neutre. Sono progettate, e il loro design influenza profondamente le modalità di interazione, di visibilità, di potere. La governance digitale non è solo questione di accesso, ma di architettura delle relazioni.

In questo senso, la governance non è più soltanto una questione politica o etica, ma anche tecnica e progettuale. È un design civico, che coinvolge non solo le persone, ma anche i sistemi che le connettono.

3. Net-attivismo: una nuova forma di azione collettiva

Il net-attivismo non va inteso come una semplice estensione del politico al digitale. È una nuova modalità di azione, che si sviluppa all’interno delle reti digitali e che supera le dicotomie tradizionali — tra pubblico e privato, tra online e offline, tra umano e tecnico.

Movimenti come la Primavera Araba, Occupy Wall Street, i Gilets Gialli non sono nati da partiti o sindacati. Sono emersi spontaneamente da dinamiche relazionali diffuse, spesso senza leadership centralizzate, e si sono articolati attraverso strumenti digitali.

Negli ultimi anni, anche le mobilitazioni per Gaza in Italia si inseriscono in questa nuova ecologia del politico. Come osserva Federico Fubini, queste proteste non vanno lette solo come reazione a un conflitto internazionale, ma anche come espressione di un malessere più profondo — legato all’ingiustizia economica, alla disillusione verso le istituzioni, alla sensazione di impotenza.

La ricerca del centro Atopos (Università di San Paolo, USP) ha definito questi fenomeni come “atopici”: non legati a un luogo fisico, ma distribuiti in una rete di connessioni che si attivano e disattivano in tempo reale. Il canale YouTube di Atopos offre approfondimenti su questi temi (guarda qui).

Questi movimenti non si limitano a “scendere in piazza”. Passano dalla rete alla strada, e dalla strada di nuovo alla rete, in un ciclo continuo di azione e riflessione.

Il net-attivismo, in questo senso, non è un’alternativa alla politica. È una nuova ecologia politica, in cui l’azione collettiva si realizza attraverso la connessione, non attraverso la rappresentazione.

🔹 Integrazione – Psicologia collettiva (Bartolini, StartupItalia, 2025)
Queste esplosioni di partecipazione collettiva spesso nascono da un senso di impotenza diffuso, che si trasforma in visibilità improvvisa.Come osserva Stefano Bartolini (Università di Siena), esiste una maggioranza silenziosa che desidera un mondo più cooperativo, sostenibile, equo. Una ricerca internazionale coordinata da Andreas Krafft mostra che oltre il 96% degli italiani vorrebbe una società basata su cooperazione e sufficienza economica, non su competizione e crescita illimitata. Eppure, quando si chiede loro se gli altri la pensano così, stimano che solo il 43% sia d’accordo. Questo divario alimenta la spirale del silenzio: le persone non agiscono perché credono di essere sole. Ma quando scoprono di non esserlo — come in un esperimento in cui la rivelazione del sostegno reale al clima ha aumentato le donazioni di 16 dollari in media — l’azione collettiva si sblocca. L’articolo completo di Stefano Bartolini su questo tema è disponibile su StartupItalia (leggi qui).

4. Le pandemie come rivelazione: la comunità oltre l’umano

Le pandemie hanno reso visibile ciò che era già presente: la comunità umana non è autonoma.

Virus, clima, inquinamento, sistemi sanitari, reti di trasporto: tutti questi elementi non umani sono parte attiva della vita sociale. La gestione delle crisi sanitarie ha mostrato come decisioni politiche cruciali siano oggi mediate da dati, algoritmi, modelli predittivi.

La “comunità” non è più un insieme di individui. È un sistema ibrido, in cui umani e non umani co-determinano la realtà.

In questo contesto, la cittadinanza non può limitarsi a un diritto legale. Deve diventare una pratica di cura reciproca, che riconosce la dipendenza tra tutti gli elementi del sistema — biologici, tecnologici, sociali.

5. Verso una nuova ecologia delle interazioni

La cittadinanza digitale, quindi, non è solo una questione di accesso alla tecnologia.È una trasformazione profonda del modo in cui abitiamo il mondo.

Come ha osservato Massimo Di Felice, viviamo ormai in ecologie atopiche, reticolari, simpoietiche:

  • Atopiche: senza un luogo fisso, ma presenti in molteplici contesti relazionali
  • Reticolari: definite da connessioni piuttosto che da gerarchie
  • Simpoietiche (Donna Haraway): in cui gli esseri viventi e tecnici co-creano il mondo

Il sito di Massimo Di Felice offre approfondimenti su questi temi (visita qui).

In questo nuovo contesto, la governance non è più solo una questione di rappresentanza o di decisione. È un processo di cura delle relazioni, in cui il design dei dati, delle piattaforme, delle interfacce diventa una forma di responsabilità civica.

Questa è la svolta epocale: la politica non è più solo soggetto-centrica. È sistema-centrica.

E la nostra responsabilità? Non è più solo quella di “esprimere un voto”. È quella di partecipare consapevolmente alla costruzione di sistemi giusti, sostenibili, inclusivi.

🔹 Integrazione – Conclusione allargata
La trasformazione della cittadinanza nell’era digitale non può prescindere da due verità parallele:
1. L’ingiustizia economica materiale, che esclude milioni di persone dai frutti della crescita
2. L’impotenza emotiva collettiva, generata dalla falsa percezione di essere in minoranza
Ma proprio qui si annida una possibilità: la maggioranza silenziosa esiste. E quando lo scoprirà, il sistema attuale non potrà più reggere. 
Come dice Stefano Bartolini: «Il sistema è più fragile di quanto sembri. È sostenuto da una convinzione sbagliata: quella di essere soli.» 
La cittadinanza digitale, allora, non è solo un fatto tecnologico. È un atto di cura collettiva, che unisce giustizia economica, trasparenza dei sistemi e visibilità del consenso.

Conclusione

La trasformazione della cittadinanza nell’era digitale non è un processo tecnico. È un processo etico, culturale, politico.

Richiede una nuova consapevolezza:
👉 che non siamo soli nel decidere
👉 che le tecnologie non sono neutre
👉 che la partecipazione non si esaurisce nel voto, ma si estende al modo in cui progettiamo, usiamo e governiamo gli strumenti digitali

La cittadinanza digitale, allora, non è un destino. È una scelta collettiva.

E ogni scelta che facciamo — nell’uso dei dati, nella progettazione delle piattaforme, nella cura delle relazioni — è già un atto politico.

***

Fonti e Riferimenti

  • Di Felice, Massimo — www.massimodifelice.net
  • Haraway, Donna (2016). Staying with the Trouble. Duke University Press
  • Lovelock, James (1979). Gaia: A New Look at Life on Earth
  • Atopos, Universidade de São Paulo (USP) — Canale YouTube
  • BCE (2024). Potere d’acquisto dei salari in area euro
  • OCSE (2024). Salari reali e inflazione in Italia
  • Mediobanca (2024). Rapporto sulle società italiane
  • Fubini, Federico — La discesa record dei salari reali in Italia, Corriere della Sera (2025) — leggi l’articolo
  • Bartolini, Stefano — Il bicchiere mezzo pieno del prof che studia la felicità, StartupItalia (2025) — leggi l’articolo
  • Krafft, Andreas — Ricerca internazionale su preferenze sociali (2024)
***

Invito alla riflessione

Questo articolo non vuole fornire risposte.Vuole aprire uno spazio di pensiero condiviso.

Ti invito a chiederti:

  • In che modo le tecnologie che usi ogni giorno influenzano la tua partecipazione sociale?
  • Dove si prendono le decisioni che riguardano la tua vita?
  • Come possiamo progettare sistemi digitali che rispettino la vita, non solo l’efficienza?

Perché ogni tecnologia è un atto di cura.
O di estrazione. 
La scelta è nostra.

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